GIORGIO LONGO
In una fredda tarda serata del dicembre 1949, alla stazione di Alessandria dal treno scese Marcel Zosso - marsigliese dalle oscure origini, povero in canna forse in fuga da chissà cosa e da chissà chi - con una precisa idea in testa, rivelatasi poi geniale: costruire in Italia «sportfoot», i calciobalilla.
Quei tavoli da gioco «a 11», che, ancora rudimentali, un paio d’anni prima in Francia, al termine della guerra, Zosso aveva visto i reduci utilizzarli per la riabilitazione psicomotoria. Da qui sembra nascere il termine «calciobalilla»; ma c’è anche chi attribuisce il nome ad una variante di «calcioinpiccolo», intendendo come «piccolo» i ragazzi che nel ventennio precedente indossavano come copricapo il fez.
Così, proprio nell’Alessandrino, Marcel Zosso parte alla ricerca di falegnami. Meglio se lungimiranti. A cogliere l’occasione al volo fu la famiglia Garlando, papà Giovanni col figlio Renato proprietari di un «laboratorio del legno» a Spinetta Marengo, sobborgo alessandrino, dove si producevano botti per il vino, flauti per la musica e casse da morto. Da qui uscirono i primi calciobalilla «made in Italy»; anche se, in verità, gli esemplari «prototipo» furono ideati nel 1936 da un artigiano di Poggibonsi, che però si limitò a compiere delle «prove di fabbricazione». Il successo dei pionieristici calciobalilla alessandrini, fu immediato. Nei primi Anni ’50, infatti, se ne costruirono oltre 12 mila.
Ma la storia del calciobalilla è costellata di altri eventi e personaggi, a modo loro geniali. Il calciobalilla sembra sia stato inventato in Germania da Broto Wachter tra gli anni ’20 e ’30 e contemporaneamente anche in Francia dove vennero realizzati i primi tavoli da gioco (in particolare sembra che l’idea sia stata concretizzata da Lucien Rosengart, operaio della Citroën già inventore in altri campi). Poi, qualche anno dopo, in Spagna e precisamente a Barcellona, Alejandro Finisterre, un ragazzo che nel 1936 vagava di ospedale in ospedale, ferito nei bombardamenti di Madrid, nella guerra civile spagnola, e vedeva coetanei con le gambe amputate, pensò: «Se non possono più correre su un prato, che possano almeno divertirsi con dei giocatori sagomati infilati su stecche». Finisterre perfezionò il calciobalilla con gli omini sagomati e registrò il brevetto nel 1937.
Tuttavia, le origini tedesche del gioco sembrano ulteriormente attestate dal nome che gli hanno dato gli americani: «foosball», trascrizione inglese del tedesco fußball, dunque la Germania, la Francia e la Spagna si contendono la paternità dell’atemporale calciobalilla. Secondo l’importatore di calciobalilla, nonché storico del settore, l’americano Bud Wachter, l’idea originale nasce in Germania nel tentativo di trasporre il gioco del calcio in un gioco da tavolo. L’idea prende forma nei bar e club, dove ognuno si trova ad avere il proprio «kicker», nome ancora oggi fra i più usati dai tedeschi. I tavoli da gioco venivano costruiti con cassoni artigianali in legno con il piano da gioco in compensato, aste in legno con gli omini o ometti realizzati anch’essi con blocchi di legno, le porte tagliate alle due testate e chiuse da buche di panno per raccogliere le palline, il tutto montato su rudimentali «gambe».
Il merito di aver proposto per primo gli ometti stampati in plastica e ad usare formica e metallo per costruire calciobalilla, va all’alessandrino Renato Garlando. Fu inoltre l’«innovatore mandrogno» a brevettare le boccole con oliatore che permettevano alle aste di scorrere più agevolmente. In Italia il calciobalilla si diffuse dappertutto, con una escalation inarrestabilmente, dal 1950. Quattro anni dopo la Questura di Roma ne proibì l’utilizzo «perché le famiglie sono preoccupate: i figli non studiano e passano le serate al bar e nelle bische».